domenica 29 gennaio 2017

Perla del Tirreno: uno stabilimento inclusivo




A seguito del dibattito di questi ultimi giorni, il "Paese che vorrei" vuole sottolineare alcuni punti relativi alla futura gestione del tratto di spiaggia e relative attrezzature denominata La Perla del Tirreno.

Riteniamo che la scelta di affidare la gestione dello stabilimento e delle relative strutture fino a 30 anni, cosi come prevede il progetto di fattibilità redatto dall'Amministrazione, non sia una scelta di responsabilità ma l’ennesima resa di un bene comune a una privatizzazione di fatto.

Se ciò avviene per pigrizia, per incapacità o per secondi fini, non siamo ancora riusciti a capirlo, ma certo è che basta guardarsi intorno per misurare l’inadeguatezza dell’Amministrazione nella gestione del nostro patrimonio collettivo e in questo marasma l'idea dell’Amministrazione di uno stabilimento “esclusivo” (il termine è il loro) indica non solo una mancanza di realismo ma anche la volontà di escludere, appunto, la maggior parte dei cittadini dalla fruizione della spiaggia.

Su questo ribadiamo: la spiaggia e le sue attrezzature sono un bene comune e come tale andrebbe gestito non in termini esclusivi ma inclusivi sia per quanto riguarda la quantità e la qualità dei servizi offerti, sia per ciò che attiene alla possibilità di creare opportunità occupazionali sul nostro territorio.

Il “Paese che vorrei” sta portando avanti la raccolta firme proprio per dare voce a chi condivide questa idea; e sono tanti. Perché tanti non vogliono più assistere impotenti all’erosione costante del nostro patrimonio e dei nostri diritti.

A chi dice che la nostra idea di spiaggia libera attrezzata, con attività da svolgere durante l’intero arco dell’anno “non si può fare” , facciamo notare che questa formula è pienamente realizzabile e perfettamente in linea con le direttive regionali sull'utilizzo della costa.

È una proposta che andrebbe a potenziare i servizi offerti a turisti e cittadini, senza nulla togliere a quelli che un comune stabilimento è in grado di offrire solo nella stagione estiva. Non si tratta dunque di possibilità ma di scelte e obiettivi.

A noi sta a cuore la riqualificazione, il potenziamento dei servizi e la creazione di opportunità di lavoro, questa Amministrazione, invece, prosegue la sua azione di mortificazione del territorio, svendita dei beni comuni e gestione del privilegio a beneficio di pochi.

Il Paese che Vorrei





lunedì 16 gennaio 2017

Perché Santa Marinella muore



Riceviamo da Marinella Elia e volentieri pubblichiamo

Perché siamo tutti scontenti di una città che sembra morire tra le nostre braccia, di una città che amiamo e che ci sta lasciando. E perché pur consapevoli che la nostra città sta boccheggiando come un pesce a cui non basta l'acqua che lo accoglie, non facciamo nulla per ridarle quel liquido vitale che la farebbe respirare. Perché siamo solo capaci di vaticinarne la fine e di cantarne le lodi passate. Ma forse è perché siamo noi quel liquido vitale che farebbe respirare la nostra povera piccola città? Ma allora vi chiederete: perché saremmo noi cittadini, persone comuni, lavoratori, disoccupati, giovani meno giovani, uomini donne che stiamo riducendo un paese, una volta ricco e promettente, in un posto sporco, senza prospettive, senza futuro? Ma che c'entriamo noi, cosa avremmo fatto noi, cosa staremmo ancora facendo per ridurre l'ossigeno fino ad esaurirlo a questa povera piccola città?

Una città non ha vita indipendente da coloro che la abitano, una città è la comunità che la vive. Pur facendo parte di una famiglia che tra le prime si è insediata a Santa Marinella ai primi del '900, io ci abito soltanto da 5 anni e in 5 anni ho potuto constatare di come il degrado e la corruzione dei costumi ne abbia lentamente occupato ogni angolo e si sia insinuato con irresistibile caparbietà in questa nostra piccola città. E noi tutti "stamo a guardare", capaci solo di lamentarci. Io credo che sia necessario fare una profonda autocritica e un salto di qualità. È la nostra mentalità che va profondamente modificata. È necessario ammettere, anche contro voglia, che la qualità della vita cambierà se per prima cosa cambierà il nostro modo di concepire quella che una volta si chiamava proprietà pubblica e che oggi si chiama, un po' evocativamente, BENE COMUNE.


Mi piacerebbe pensare che tutti noi siamo convinti che il bene generale è anche il bene nostro e questo non è un luogo comune oppure una petizione di principio, ma una solida realtà che ha fondamento nei paesi del nord Europa, dove è principio cardine del loro vivere comune. Una cultura civica che possa permeare la nostra anima è quella che fa vivere tutti meglio. Una società che punti a questo è una società che svilupperà e migliorerà l'economia del paese. Pensate alla raccolta differenziata: le buone pratiche del riciclo si possono trasformare in un beneficio per tutti. Comuni del Veneto, dell'Emilia Romagna attuano la politica della detassazione ai cittadini che si impegnano in una buona raccolta differenziata. Il comune di Bari ha organizzato dei centri di raccolta in cui i residenti con le tessere sanitarie possono registrare i rifiuti consegnati e quindi accumulare punti per usufruire della riduzione sulle tasse. Pensate ai piani per la eliminazione delle Barriere Architettoniche: attuare un piano che punti ad eliminare tutti quegli ostacoli che si frappongono alle carrozzine dei disabili motori, o anche alle mamme con i passeggini, pensate ai percorsi tattili che aiutano i non vedenti o ai semafori acustici e strisce pedonali. Significherebbe affidare alle piccole imprese locali lavori di ristrutturazione in tal senso con sovvenzioni statali. Insomma basterebbe che l'amministrazione avesse a cuore il bene pubblico, materiale ed immateriale, perché si possa creare uno sviluppo a tutto tondo di una città. E l'amministrazione siamo noi. Siamo noi sia perché è espressione del nostro voto sia perché siamo noi che dobbiamo essere pungolo e controllo del suo operato. Siamo noi cittadini che dobbiamo avere a cuore la nostra città.

Mi piacerebbe pensare che il bordo della strada dove il signor X svuota il portacenere della sua automobile sia anche mio e quando il signor X lo fa è come se lo facesse nel mio giardino. Il signor Y che non raccoglie gli escrementi del proprio cane, anche se ignora questo principio basilare davanti il portone del mio peggior nemico, insulta me come il povero malcapitato che ci mette il piede sopra. La signorina Z che abbandona la spazzatura davanti la terrazza che affaccia sul nostro splendido mare, invece che affidarla nel giorno giusto all'addetto giusto, mi crea un dolore perché danneggia la città che io sento mia, che pretendo sia bella e che venga giudicata tale dal turista che ha scelto Santa Marinella come luogo d'elezione. Se chi gestisce un bar o una pizzeria sistema il proprio dehor su un marciapiede senza rispettare le regole, sempre che regole ci siano, danneggia anche me anche se io su quel marciapiede non ci passo mai. Perché quel marciapiede è mio come di tutti quelli che ci passano e l'interesse legittimo del gestore ad avere uno spazio esterno che abbellisce la nostra città deve incastrarsi con quello di chi su quel marciapiede ci passa due volte al giorno, magari spingendo un passeggino. La spiaggia che incornicia la passeggiata a mare è più bella se vissuta tutta l'anno e da chiunque vi voglia accedere, anche se io preferisco di gran lunga lo scoglio che, dietro il porto, occhieggia i turisti che in barca rientrano dopo una giornata a largo. E tutto questo non solo per un presunto senso civico, di cui purtroppo noi santamarinellesi non siamo provvisti, ma anche perché tutto questo può portare denaro. Una città a vocazione turistica come Santa Marinella ha bisogno di senso civico, di regole e di bellezza a cui tutti dobbiamo essere votati. Ha bisogno di un progetto di città che solo una politica sana e creativa, un patrimonio di scelte consapevoli ed ecocompatibili possono sviluppare.

Penso che sia ora di superare tutti quei giochi di potere, quei bizantinismi che nell'imminenza delle elezioni amministrative si cominciano ad ascoltare. La buona politica, che ancora esiste e nessuno mi può convincere del contrario, non è fare i conti su quanti voti può portare quel tale personaggio o quel tal'altro, non è svegliarsi a sei mesi dall'agone elettorale per scopiazzare un vecchio programma e reclutare dei portatori di voti, non è risvegliare vecchie cariatidi che hanno fatto già abbastanza male, ma che si pensa possano ancora dire la loro. La nobiltà della politica sta nel coltivare un obbiettivo alto e nello studiare la pianificazione per concretizzarlo. Io credo ancora che possiamo farcela, ci credo fortemente e credo in un progetto di città che si costruisce insieme. Ci vuole impegno e festosità, voglia di farcela ed entusiasmo e, come disse Pietro Ingrao: “Sapete compagni, mi sarebbe piaciuto andare in convento, ma invece ho scelto di rimanere nella metropoli, dove siamo tanti, di tanti luoghi e di tanti colori, e la libertà si costruisce qui dentro”.

Marinella Elia