martedì 4 aprile 2017

Castello di Santa Severa, quali prospettive




Lo scorso 22 marzo, una delegazione de “il paese che vorrei” ha incontrato il dirigente di LAZIOcrea, società in-house della Regione Lazio incaricata della gestione del Castello di Santa Severa, per discutere e approfondire la questione del futuro del Castello.

In sintesi, dall’incontro si è capito che la Regione ha recepito l’esigenza espressa dal progetto, da noi presentato ormai quattro anni or sono, circa il livello qualitativo delle attività da sviluppare e il vincolo di apertura del castello per l’intero arco dell’anno ma non ha recepito le nostre istanze riguardo la struttura economica e il sistema gestionale che costituivano il cuore della proposta.

Purtroppo, erano proprio gli aspetti strutturali del progetto a poter garantire la continuità delle attività e il loro livello qualitativo, le ricadute occupazionali e formative per il territorio, nonché la possibilità del sistema di autofinanziarsi nel tempo. Il sistema gestionale garantiva inoltre la possibilità di un controllo sulla opportunità e qualità delle azioni da sviluppare all’interno di quello che è un bene comune di interesse strategico per il nostro territorio.

Avevamo suggerito l’idea di una Governance composta da Ente Regione, Comune di Santa Marinella, comuni del comprensorio (che hanno approvato in Consiglio comunale il nostro progetto), Società di Gestione del Castello.

Questa Governance avrebbe approvato il calendario delle attività previste nell’arco dell’anno e i Partner coinvolti dalla Società di Gestione per il loro sviluppo; avrebbe identificato gli eventuali finanziamenti per le attività di particolare ricaduta sociale, come la formazione professionale e i seminari di interesse strategico per lo sviluppo economico del comprensorio, avrebbe vigilato sull’effettivo svolgimento delle attività e sul perseguimento degli obiettivi prefissati, correggendo, aiutando ed eventualmente sanzionando l’operato della Società di Gestione.

La Società di Gestione, nel progetto da noi presentato, era l’impresa che avrebbe garantito la gestione di tutti gli spazi del Castello ad eccezione di quelli dedicati all’ambito museale. Un’unica società avrebbe gestito le attività economiche più redditizie, (ristorante, foresteria, bar), garantendo loro continuità di mercato tutto l’anno attraverso la gestione delle attività culturali, sociali e di formazione che avrebbero richiamato una fruizione continua di utenti, visitatori, ospiti, avventori, partecipanti a corsi e seminari, frequentatori di mostre e tanto altro.

Infatti, per poter garantire il lavoro presso un ristorante è necessario creare i presupposti affinché il gestore possa contare su un flusso continuativo di avventori. Altrimenti, le attività resteranno aperte per la stagione estiva e, se va bene, durante qualche fine settimana. E i lavoratori, di conseguenza, saranno occupati stagionalmente o per lo più a chiamata.

Per non correre questo rischio, avevamo suggerito un sistema gestionale di un bene comune che garantisse delle ricadute positive per tutti e non per pochi imprenditori. Un sistema in cui, per il suo stesso interesse, l’imprenditore investisse al tempo stesso su un’attività commerciale e su attività d’interesse sociale che avrebbero attratto utenti a garanzia della continuità dell’attività commerciale stessa. Ma non solo, la continuità di frequentazione del castello avrebbe potuto garantire un mercato di riferimento anche per le botteghe artigiane che immaginavamo potersi sviluppare all’interno del Castello. Per loro ipotizzavamo un canone agevolato in relazione all’erogazione di corsi di formazione artigianale da svolgersi nelle botteghe stesse; se porti un beneficio sul territorio ottieni un’agevolazione economica, se porti nuovi utenti e nuovi visitatori, anche tu contribuisci alla creazione del sistema di gestione economica per cui tutti gli operatori creano un beneficio per gli altri e, ovviamente, per se stessi.

Questo riassunto sintetico delle nostre istanze serve per spiegare il nostro disappunto nei confronti delle scelte operate dalla Regione, di cui siamo venuti a conoscenza durante l’incontro.

Il primo disappunto riguarda la decisione di procedere con uno spacchettamento in antitesi con il concetto di unità produttiva che avevamo auspicato.

Si procede quindi con una frammentazione del bene comune che vede gli spazi che generano ricchezza economica affidate tramite bando a due o tre imprenditori ognuno dei quali si potrà gestire il proprio ristorante, il proprio bar, il proprio albergo. Ciò che riguarda tutti gli altri, ossia le attività che dovrebbero portare nuovi visitatori e fruitori, la formazione professionale, gli incontri culturali, i seminari scientifici o le attività di intrattenimento, rimangono al buon cuore, alla disponibilità economica e alla volontà politica della Regione, per tramite della società LAZIOcrea.

Il canone di locazione degli spazi commerciali andrà direttamente a contribuire al risanamento del bilancio della sanità regionale, mentre le attività di interesse sociale e culturale continueranno a ricadere sulla spesa pubblica della Regione stessa. Questo comporta che i visitatori e quindi i clienti delle attività remunerative, saranno garantiti solo sino a quando la Regione riterrà di spendere soldi sulla creazione di attività. A questo si aggiunga che mentre nella Regione e dentro LAZIOcrea gli obiettivi, le priorità e le persone, cambiano (già a marzo prossimo si vota per il rinnovo della dirigenza politica della Regione) gli appalti remunerativi rimangono visto che LAZIOcrea sta pensando di indire bandi che prevedono una durata gestionale di 12 anni.

Inoltre, difficilmente si potrà vigilare sulla qualità, sull’utilità o sulla ricaduta sociale di quanto avverrà nel Castello. Se un operatore economico non avrà mercato, sospenderà l’attività per riprenderla nella stagione più proficua. Per avere delle possibili ricadute sul territorio non resterà che sperare nel buon senso e nella continuità di erogazione della spesa di chi organizza la riqualificare funzionale del complesso.

Nessun piano per garantire la continuità di posti di lavoro, nessun obiettivo per trasformare il Castello dal pozzo senza fondo che è stato negli ultimi quindici anni, in una risorsa comune, effettivamente in grado portare eccellenza amministrativa, gestionale economica e sociale per tutti, a Santa Marinella e dintorni. Quello che probabilmente si riuscirà a fare è una stagione estiva ricca di offerta. Da settembre in poi, si vedrà.

Ecco il motivo del nostro disappunto. Riteniamo che una grande occasione di sviluppo è andata perduta. Il disappunto aumenta poiché questo è potuto accadere perché né la nostra Amministrazione comunale né quelle degli altri comuni che avevano approvato il progetto, hanno poi mosso un dito per sostenerne le motivazioni, gli obiettivi e le istanze.

Nessuno si è mosso per affermare in Regione la rilevanza del complesso monumentale e delle sue ricadute sociali, per l’occupazione, la crescita culturale e la destagionalizzazione dell’offerta e dell’economia di questo territorio. E questo è proprio uno scandalo.

Nel dirigente di LAZIOcrea abbiamo avuto l’impressione di trovare un interlocutore motivato, sensibile e disponibile alla collaborazione. Quindi, nonostante l’impossibilità di condividere il percorso delineato, abbiamo cercato di essere collaborativi suggerendo alcune scelte, ispirate dall’interesse collettivo.

Abbiamo chiesto che gli spazi aperti (i vialetti, i cortili e il giardino interno) possano essere destinati a parco pubblico, ossia spazi in cui si possa accedere senza visite guidate, senza pagare biglietti, senza dover necessariamente consumare mercanzie, cibi o bevande.

Che i bandi per l’affidamento delle attività commerciali possano attribuire un punteggio relativo alle ricadute occupazionali su cui impegnare il futuro gestore e un punteggio che possa favorire il gestore che si impegna a erogare corsi di formazione inerenti la propria attività.

Analoga richiesta è stata rivolta nell’ambito della formazione sulle attività artigianali affinché anche gli artigiani che occuperanno gli spazi del Castello, possano avere un canone agevolato in relazione alla qualità e alla quantità di attività di formazione da svolgere nell’arco dell’anno.

Abbiamo sollecitato LAZIOcrea a investire in attività di formazione scientifica da sviluppare negli spazi del Castello, su temi inerenti le potenzialità di sviluppo eco-compatibile del territorio ed in particolare sul rilancio del settore dell’agricoltura e che, nel far questo, possa essere coinvolta l’Università della Tuscia.

Abbiamo chiesto che le associazioni che operano sul territorio possano ottenere spazio espressivo e coinvolgimento nell’ambito delle attività da svolgere nel Castello.

Abbiamo sostenuto l’importanza del fatto che in tutte le attività previste nel Castello, tanto quelle commerciali quanto quelle di carattere culturale, LAZIOcrea si impegni a garantire la partecipazione degli studenti dei licei e degli istituti professionali del territorio, nell’ambito dei progetti di alternanza scuola lavoro.

Abbiamo proposto che LAZIOcrea organizzi/ospiti una mostra di fiori all’interno del Castello coinvolgendo i floricoltori del territorio e oltre, e che questa esposizione possa diventare un appuntamento ricorrente nella pianificazione delle attività.

Ci siamo quindi resi disponibili a offrire supporto a LAZIOcrea in ogni opportunità di raccordo tra Regione e territorio, per ciò che rientra nelle nostre competenze e capacità, nel perseguimento del massimo beneficio possibile per la nostra comunità.

Nel corso dell’incontro ci è sembrato di poter condividere le istanze proposte e che queste non siano apparse come sogni o pretese irrealizzabili. Tutto dipenderà dalla volontà politica della Regione Lazio, dalla sua capacità di spesa, dalla sua intelligenza e dal suo interesse a mantenere nel tempo l’impegno di cui si è fatta carico rigettando un progetto approvato da quattro Comuni e supportato dall’adesione di decine di associazioni, fondazioni e istituzioni.

Noi continueremo a chiedere che si realizzi ciò che sempre abbiamo auspicato, ossia che il futuro del Castello possa essere orientato all’inclusione, alle ricadute positive per tutti, al perseguimento del senso sociale della definizione “Bene Comune”.

domenica 2 aprile 2017

Civitavecchia, navi e inquinamento

Primo tavolo di lavoro per la riduzione delle emissioni nel porto di Civitavecchia




Qualche giorno fa l'associazione Cittadini per l'aria -ONLUS con sede a Milano- insieme a NABU -ONG con sede a Berlino- hanno effettuato dei monitoraggi sulle emissioni nel porto di Civitavecchia rilevando “livelli di particolato ultrafine fino a 140 volte superiori a quelli delle zone con aria pulita”. Per intenderci, il particolato ultrafine è quello più pericoloso, in quanto riesce a superare tutte le barriere protettive dell’organismo umano, arrivando fino al bronchìolo.

In seguito a questo controllo l'associazione Cittadini per l'aria, rappresentata dalla D.ssa Daniela Patrucco, ha proposto l’istituzione di un tavolo di lavoro partecipato, allargato alle associazioni del comprensorio, proposta che è stata subito accolta dal comune di Civitavecchia.

Il primo incontro si è svolto mercoledì 29 marzo presso l’aula Pucci del comune di Civitavecchia.

chi era presente?

Per il comune: Il sindaco Cozzolino, il consigliere nonché presidente della commissione ambiente Menditto, l'assessore all'ambiente Manuedda e il consigliere Floccari (vicepresidente della commissione ambiente);

Per la capitaneria di porto: il responsabile per la sicurezza;

Per l’autorità Portuale: un delegato un tecnico, in qualità di auditore, privo di qualsiasi potere decisionale;

Per le associazioni del compensorio, oltre alla promotrice: Civitavecchia c’è, Forum ambientalista, Piazza 048, Ripartiamo dai cittadini, Codacons e, per Santa Marinella, il Comitato 2 ottobre e Il paese che vorrei

quale l'argomento del tavolo?

In assenza di una normativa nazionale in materia di emissioni inquinanti nei porti e in attesa di una normativa europea che dovrebbe scattare nel 2020, s’intende creare un area di controllo delle emissioni nel Mediterraneo, al pari di quanto già attuato nel mar Baltico, del Nord, della Manica e USA. Esplicito il riferimento alla recente “Dichiarazione di Roma” sottoscritta da vari paesi del Mediterraneo, in particolare Spagna, Francia, Italia, Malta e Grecia

in che modo?

Richiedendo alla capitaneria e all'autorità portuale di diventare una zona ECA “sperimentale”, in anticipo rispetto ai tempi dettati dalla Direttiva Europea prevista per l’anno 2020, che in pratica significherebbe firmare un protocollo d’intesa con gli armatori ed emanare un'ordinanza che vincoli le navi a utilizzare combustibile a basso tenore di zolfo prima di entrare nell'area portuale. In aggiunta, si richiede che:


- la capitaneria di porto renda pubblici alla cittadinanza i controlli sulle emissioni;


- venga inserita la problematica dei porti nelle tematiche regionali e nazionali.

Purtroppo l'autorità portuale non era presente al tavolo e quindi non è dato di sapere la sua opinione in merito

Hanno fatto seguito gli interventi di tutte le associazioni presenti, in occasione dei quali la D.ssa Patrucco ha puntualizzato che, sebbene monitoraggi di questo genere sono già stati effettuati in altri porti, Civitavecchia è il primo comune che si è reso disponibile a organizzare un tavolo di lavoro partecipato e per questo l’iniziativa ha la valenza di “progetto pilota”. La capitaneria di porto è intervenuta su questioni più tecniche, in particolare ha illustrato le modalità di controllo delle navi e di invio dei dati alle autorità competenti.

Il paese che vorrei ha invece insistito sul potenziamento del monitoraggio, l'unico strumento che, al momento, può controllare le emissioni delle navi. Le centraline che ci sono (gestite da ARPA LAZIO) non sono infatti in grado di monitorare le particelle ultra sottili ma solo il PM10 (i numeri si riferiscono alla grandezza delle polveri, che più grosse sono e meno danno fanno! Le ultra sottili o UFP sono inferiori a 1).

Il paese che vorrei ha anche chiesto che al prossimo tavolo siano invitati tutti i sindaci del comprensorio, al fine di esercitare quanta più pressione politica possibile.

Il paese che vorrei, considerando che Civitavecchia è un territorio già fortemente sollecitato da un punto di vista ambientale, auspica che vengano adottate quanto prima tutte le misure possibili atte a diminuire l’inquinamento di tutte le fonti presenti nel comprensorio, ivi compresa quindi quella attribuibile al traffico navale. Naturalmente valuta opportuno che l’iniziativa sia estesa agli altri porti nazionali, di modo che non si venga a creare un potenziale rischio di declassamento dello scalo civitavecchiese rispetto agli altri a causa dei maggiori oneri che dovrebbero essere sostenuti dagli armatori firmatari del protocollo d’intesa.

Il paese che vorrei, viste le comprovate e preoccupanti rilevanze di specifici studi già pubblicati in merito al livello di esposizione della popolazione residente nei comuni del comprensorio di Civitavecchia, non esclude la possibilità che la comunità europea stessa possa finanziare la quota parte di spese aggiuntive in carico agli armatori, se il fine ultimo è quello di anticipare, virtuosamente, una direttiva che a breve saranno in ogni caso comunque costretti a rispettare. Ricordiamo infatti che l’ultimo studio condotto dall’Osservatorio Epidemiologico della Regione Lazio su una coorte di oltre 70.000 residenti del nostro comprensorio, ha dimostrato che la popolazione residente nella zona porto, ha un rischio significativamente maggiore di ammalarsi di tumore e patologie neurologiche rispetto alla popolazione del comprensorio meno esposta. Questo vuol dire che il porto rappresenta la principale fonte inquinante di Civitavecchia. In quest’ottica, l’anticipo della direttiva in materia di emissioni rappresenta una risposta doverosa e concreta per il nostro territorio



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POLVERI


Al PM10 fanno riferimento alcune normative (fra cui le direttive europee 2008/50/CE sulla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa e quelle sulle emissioni dei veicoli), tuttavia tale parametro si sta dimostrando relativamente grossolano, dato che sono i PM2,5 ed i PM1 (anche se comunque correlati al PM10) ad avere i maggiori effetti negativi sulla salute umana e animale. Per le emissioni di impianti industriali (fabbriche, centrali, inceneritori) il riferimento è ancora più grossolano (le Polveri Sospese Totali PTS), e si riferisce solamente al peso totale delle polveri e non alla loro dimensione.

La sensibilità degli attuali strumenti di controllo sulle emissioni apprezza ordini di grandezza del micrometro. Per rilevare particelle ancora più fini è necessario utilizzare strumenti di laboratorio molto sofisticati e costosi, e su questa categoria di polveri non esistono limiti di legge (che operativamente non potrebbero essere fatti rispettare alla luce della tecnologia attuale).

Nel 2006 l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), riconoscendo la correlazione fra esposizione alle polveri sottili e insorgenza di malattie cardiovascolari e l'aumentare del danno arrecato all'aumentare della finezza delle polveri, ha indicato il PM2,5 come misura aggiuntiva di riferimento delle polveri sottili nell'aria e ha abbassato i livelli di concentrazione massimi "consigliati" a 20 e 10 microgrammi/m³ rispettivamente per PM10 e PM2,5.

Nell'aprile 2008 l'Unione Europea ha adottato definitivamente una nuova direttiva (2008/50/EC) che detta limiti di qualità dell'aria con riferimento anche alle PM 2,5. Tale direttiva è stata recepita dalla legislazione italiana con il D. Lgs 155/2010, che abroga numerosi precedenti decreti tra cui il DM 60 del 2 aprile 2002 recante recepimento della direttiva 1999/30/CE del 22 aprile 1999 del Consiglio concernente i valori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo e della direttiva 2000/69/CE relativa ai valori limite di qualità dell'aria ambiente per il benzene ed il monossido di carbonio.

I limiti per la concentrazione delle PM10 nell'aria sono così stabiliti:


Valore Limite per la media annuale: 40 µg/m³
Valore limite giornaliero (24-ore): 50 µg/m³
Numero massimo di superamenti consentiti in un anno civile: 35 gg/anno


Per le PM 2,5 il decreto non prevede dei limiti sulla concentrazione media giornaliera, come per le PM10, ma dal 2011 è scattato l'obbligo per monitoraggio di tali polveri, con l'obiettivo di raggiungere al 2015 un valore limite medio annuo fissato a 25 µg/m³







PTS corrisponde a “Particelle Totali Sospese”
Per PM10 si intende il “totale delle particelle inferiori a 10,0 μm”
Per polveri ultrafini si intendono quelle inferiori a 1,0 μm